Una “ENERGETICA” Cooperazione: Contributo per il Paese
INTERVENTO DI GIANNI TARELLO A VEGETALIA - CREMONA 23 FEBBRAIO 2008
Elaborazione del Dott. For. Marina Paolucci e di Gasper Rino Talucci Presidente settore forestazione di FEDAGRI
Dalla prima crisi petrolifera ad oggi, si è assistito ad un radicale cambiamento della politica energetica.
Se le priorità evidenziate nella premessa del primo Programma Energetico Nazionale (PEN), approvato dal CIPE il 23 dicembre 1975, riguardavano:
1. l’adozione di programmi tendenti alla massima autonomia degli approvvigionamenti energetici del Paese;
2. la precisazione del ruolo dei vari operatori pubblici e privati, cercando di eliminare le duplicazioni;
3. una concreta attenzione ai risvolti di natura industriale dei programmi da adottare;
4. la verifica dell’esistenza di un quadro finanziario adeguato per le varie azioni programmatiche da avviare;
l’ultimo PEN approvato dal Governo italiano nell’agosto del 1988 indicava altri obiettivi, quali:
1. il risparmio energetico;
2. la protezione dell’ambiente e della salute dell’uomo;
3. lo sviluppo delle risorse nazionali (divise in fonti non rinnovabili e rinnovabili);
4. la diversificazione delle fonti e delle provenienze geopolitiche;
5. la competitività del sistema produttivo.
Più recentemente, nel corso degli anni Novanta, le principali decisioni in questo campo sono state prese in seguito alle direttive dell’Unione Europea.
L’ultimo “Libro bianco sulla politica energetica per l’Unione Europea”, adottato nel 1995 dal Consiglio Europeo, indica tre finalità:
1. Competitività complessiva;
2. Sicurezza delle forniture energetiche;
3. Protezione dell’ambiente.
Il ruolo della dendroenergia – la forma energetica originata dalle biomasse lignocellulosiche – nel soddisfacimento della domanda complessiva di energia è un tema entrato nel dibattito politico ed economico internazionale, investendo anche questioni ambientali e sociali.
L’Unione Europea (UE) presenta attualmente un basso livello di sicurezza nell’approvvigionamento energetico: il deficit di energia è pari al 50% e, in assenza di interventi significativi, si stima possa raggiungere il 70%.
In termini geopolitici, il 45% delle importazioni di petrolio proviene dal Medio Oriente, mentre il 40% delle importazioni di gas naturale deriva dalla Russia.
La condizione deficitaria italiana assume proporzioni ben più gravi rispetto alla media europea. Infatti, dal “Rapporto Energia e Ambiente 2000” dell’ENEA emerge che il nostro Paese importa oltre l’82% dell’energia utilizzata.
Il fabbisogno energetico europeo viene soddisfatto principalmente dall’impiego dei combustibili fossili.
Il settore residenziale e terziario registrano i maggiori consumi energetici in termini assoluti (Mtep). Circa un terzo dell’energia richiesta è destinata alla produzione di calore, ovvero al riscaldamento domestico e alla produzione di vapore nel settore industriale.
A causa di un uso massiccio di combustibili, nel corso dell’ultimo secolo si è registrato un preoccupante aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera, in particolare dell’anidride carbonica (CO2) che contribuisce all’82% delle emissioni inquinanti.
A livello planetario, in un secolo, la concentrazione di CO2 è passata da 280 a 350 ppm e, attualmente, le attività antropiche contribuiscono ad immettere in atmosfera circa 7 Gt di carbonio ogni anno (ENEA, 2001 a).
Lo stato attuale delle conoscenze scientifiche e recenti studi dell’IPCC (Intergovernemental Panel on Climate Change) confermano che i cambiamenti climatici in corso sono imputabili principalmente ai gas provenienti dall’utilizzo dei combustibili fossili.
Alla luce dello scenario poco rassicurante appena descritto, nel giugno 1992 a Rio de Janeiro, nell’ambito della Conferenza Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo, i Paesi aderenti alle Nazioni Unite hanno sottoscritto diversi impegni, finalizzati allo “sviluppo sostenibile” e, tra questi, la “Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici”.
In tal modo gli Stati si sono impegnati ad adottare i programmi e le misure atte alla prevenzione, al controllo e alla mitigazione degli effetti delle attività umane.
Nel successivo appuntamento internazionale, tenutosi nel dicembre 1997 a Kyoto, è stato concordato un Protocollo attuativo della Convenzione che ha impegnato i Paesi industrializzati e quelli in economia di transizione (i Paesi dell’Est europeo), responsabili di oltre il 70% delle emissioni mondiali di gas serra, a ridurre le emissioni entro il 2012 complessivamente del 5,2% rispetto ai livelli del 1990.
Nel 1998 l’UE ha stabilito una riduzione delle emissioni pari all’8% per l’Europa e del 6,5% per l’Italia, entro il 2008-20012 (100 milioni di tep).
In realtà, secondo i dati stimati per l’ultimo decennio, l’aumento dei consumi energetici ha causato in Italia un incremento delle emissioni complessive del 5,4%, perciò lo sforzo effettivo di riduzione dovrà essere dell’11,9% rispetto ai livelli del 1990 (Angelini, 2001).
Tra gli indirizzi politici indicati dal Protocollo si inserisce lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia. Il primo provvedimento nazionale è stato adottato con la delibera CIPE n. 137 del 19.11.1998 che ha approvato le “Linee guida per le politiche e le misure nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra”, seguito da altri strumenti a favore delle energie rinnovabili, tra le quali il legno.
Con la Legge n. 120 del 01.06.2002 è stata prevista la ratifica e l’esecuzione del protocollo di Kyoto alla “Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici”.
IL SISTEMA DELLE BIOMASSE: LO SCENARIO IN EUROPA E NEL MONDO
Secondo la Food and Agricolture Organisation, l’utilizzo del legno grezzo incide per il 7% sul bilancio energetico mondiale; nei Paesi in via di sviluppo esso soddisfa il 15% del fabbisogno.
A questa fonte primaria di energia va riconosciuto un ruolo essenziale per la copertura dei fabbisogni di base: circa il 50% dei prelievi forestali è impiegato per il riscaldamento, l’illuminazione e la cottura dei cibi (Ciccarese, 2001).
A livello europeo, l’Italia è al secondo posto nella graduatoria dei consumatori di legno a fini energetici nel settore domestico (Tabella 1.1).
Nel nostro Paese 4,5 milioni di famiglie, pari al 22% del totale, utilizzano il legno come fonte energetica, consumandone circa 14,7 milioni di tonnellate, per una spesa complessiva di circa 620.000 € (ENEA, 2001).
Come evidenziato in Figura 1.1, il “sistema biomasse” presenta valenze ampie coinvolgendo molti aspetti delle attività produttive e dando luogo ad esternalità positive sul territorio e sull’ambiente.
Tra le tematiche connesse al ruolo attuale e potenziale di tale sistema si ricordano:
1. le politiche ambientali stimolano l’impiego di risorse rinnovabili in sostituzione dei combustibili fossili, al fine di limitare le emissioni in atmosfera di CO2;
2. la gestione di filiere biomasse-bioenergia contribuisce alla riqualificazione economico-produttiva delle zone rurali, interessate da un fenomeno di diminuzione dei redditi e di crescente spopolamento. L’individuazione di nuovi sbocchi produttivi favorirebbe la creazione di posti di lavoro nei settori agricolo e forestale, diversificando e stabilizzando l’economia di tali aree;
3. la ricolonizzazione di terreni marginali, spesso lasciati incolti per motivi di non economicità delle produzioni a destinazione alimentare o per saturazione dei mercati agricoli tradizionali, con colture agricole e forestali a rapida rotazione a destinazione energetica, mediante azioni sistematiche di manutenzione del territorio, porterebbe al recupero di zone collinari e montane a rischio di erosione, dissesto idrogeologico, incendi.
Allo stato attuale si osserva che, nonostante una consistente serie di azioni programmatiche e alcuni investimenti pubblici in attività di ricerca, la bioenergia in Italia stenta ad affermarsi su scala industriale. Ciò è dovuto al fatto che il sistema dei prezzi internalizza solo parzialmente i costi e i benefici sociali derivanti dall’impiego delle diverse fonti di energia.
Il mercato, perciò, non ha saputo stimolare a sufficienza la diffusione delle biomasse quale fonte energetica alternativa. A livello dei consumi domestici nelle aree rurali e montane, invece, l’impiego della legna come fonte di energia ha registrato una graduale ma costante crescita a partire dagli inizi degli anni Settanta, anche per la diffusione di sistemi di conversione più efficienti (Ciccarese et al., 2001).
I PRINCIPALI COMBUSTIBILI LEGNOSI
Il legno è l’insieme dei tessuti costituenti il sistema meccanico, conduttore, di riserva ed escretore delle piante arbustive ed arboree.
Nella composizione chimica elementare prevale il carbonio (49-50%), cui si accompagna l’ossigeno (44-45%), seguito dall’idrogeno (6%) e l’azoto (0.1-1%).
Da questi elementi inorganici si formano le principali componenti organiche del legno: cellulosa (40-45%), emicellulose (20-35%) e lignina (17-35%) (Urso et al, 1999).
L’attitudine del legno alla trasformazione energetica viene determinata attraverso il Potere Calorifico Inferiore (PCI). Esso rappresenta la quantità di energia termica che si sviluppa dalla combustione di un chilogrammo di legno ed è espresso in MJ/kg di sostanza secca. Questa grandezza dipende, in maniera inversamente proporzionale, dal contenuto di acqua. Infatti, con un’umidità relativa di circa il 50% (legno verde) il PCI è pari a 2 kWh/kg, mentre con un’umidità relativa del 15% (legno seccato all’aperto per più di due anni sotto copertura) il PCI arriva a 4,3 kWh/kg.
A parità di umidità relativa, il PCI varia in misura trascurabile in funzione della specie legnosa.
Al contrario, il peso specifico (peso per unità di volume), indicatore del tempo di permanenza del legno negli apparecchi di combustione, è influenzato dalla specie. Le essenze che producono i legni più densi sono definite “specie forti” o “buone specie da legno”.
Di seguito si passano brevemente in rassegna i tipi di legno combustile reperibili sul mercato.
La legna spaccata corta è adatta per la combustione in stufe, caminetti, caldaie di piccola e media potenza (fino a 120 kW). Proviene per la maggior parte dalla selvicoltura o dalla frutticoltura e richiede una lavorazione del materiale grezzo.
Le caratteristiche di qualità della legna spezzata riguardano il suo tenore idrico, che dovrebbe aggirarsi tra il 15 e il 20%, per assicurare una buona combustione (legno stagionato per alcuni anni), la regolarità dei ciocchi e il tipo di legno, qualora il materiale combustibile sia venduto in unità di volume.
La legna spaccata lunga è idonea per caldaie a caricamento manuale di piccola e media potenza. E’ prodotta in misure variabili tra 50 e 100 cm e richiede un minor lavoro di produzione rispetto al formato corto.
Il legno cippato si presenta in scaglie o minuzzoli di legno ottenuti per sminuzzamento meccanico, mediante cippatrici, di assortimenti legnosi di dimensione diversa, come tronchi, ramaglie, residui delle prime lavorazioni. Il cippato non si trova normalmente allo stato anidro, ma ha un contenuto di umidità, espresso come percentuale sul peso totale di un campione (percentuale sul tal quale), variabile. Comunemente l’umidità relativa è compresa tra il 50 e il 30%, a seconda del tipo di legno, del tempo trascorso dalla produzione del cippato e del tipo di stoccaggio.
La quota di corteccia ha una sua influenza, in quanto il potere calorifico di questa parte vegetale è molto basso, quindi un’elevata percentuale di tale componente ha l’effetto di deprimere il potere calorifico totale.
Altri aspetti da valutare sono le dimensioni dei chips che influenzano la rapidità di combustione e la facilità di alimentazione della caldaia e la purezza del materiale da corpi estranei.
La qualità del cippato dipende sia dal materiale di provenienza che dalla tecnologia di produzione e, sulla base di questi elementi si distinguono diverse tipologie di chips:
1. prodotti dai residui forestali, quali ramaglie e cime o da tronchi interi derivanti dai diradamenti boschivi. Questo tipo di cippato si caratterizza per un tenore idrico alto (circa il 50%), per una pezzatura non omogenea e per un contenuto non trascurabile di cortecce e fogliame;
2. prodotti nelle segherie e utilizzati spesso nell’industria cartaria. Hanno proprietà combustibili superiori, ma presentano un contenuto in acqua ancora troppo elevato (40-50%) per poter essere impiegati nelle piccole caldaie, a meno che i residui non siano lasciati essiccare prima della cippatura o che i chips prodotti vengano sottoposti all’essiccazione in container ventilato con aria calda;
3. provenienti dai diradamenti, ma privi di ramaglie e di foglie, sono lasciati essiccare per circa sei mesi prima della cippatura. In questo caso il contenuto in acqua è pari al 30% e la caratteristiche qualitative e di pezzatura si presentano abbastanza uniformi.
Il cippato viene impiegato per alimentare caldaie a caricamento automatico con potenze da 80 kW fino ad alcuni MW.
Il pellet di legno è prodotto dalla compressione a secco e dalla trafilatura degli scarti dell’industria del legno (segherie e falegnamerie). La segatura e i trucioli di legno, una volta pressati, vengono estrusi in cilindretti di 6-12 mm di diametro e della lunghezza di 10-30 mm. Nel processo produttivo non vengono utilizzati collanti ed additivi chimici, in quanto l’addensamento e la compattazione sono ottenute attraverso la parziale fusione della lignina, a seguito della pressione e del riscaldamento per effetto dell’attrito.
E’ importante che i pellet abbiano un’adeguata resistenza meccanica e non si sbriciolino, in modo da evitare problemi durante il rifornimento dei silos e anche perché il polverino ha differenti caratteristiche di combustione.
Questo combustibile ha un grado di umidità bassissimo, variabile tra il 5 e il 10%, un ridotto contenuto in ceneri e un potere calorifico di 4,9 kW/kg.
E’ impiegato soprattutto per l’alimentazione di piccole caldaie a caricamento automatico, con potenze fino a 30 kW.
Nella tabella 1.3 è presentato un confronto delle caratteristiche energetiche ed economiche delle varie tipologie di combustibile legnoso e i più comuni combustibili fossili impiegati per la produzione di energia termica.
Fonte: Rapporto di ricerca - La produzione potenziale di legno-energia nel territorio del Comune di Venezia-Mestre - AIEL, 2002.
Se con 1 kg di legno stagionato si sostituiscono 0,36 kg di gasolio o 0,44 mc di metano, il “valore di sostituzione” del legno è di almeno 0,218 €/kg, vale a dire almeno 1,76 volte del suo prezzo di acquisto nell’assortimento più caro, rappresentato dal pellet.
Alle attuali condizioni di mercato il riscaldamento con combustibili legnosi si rivela economicamente vantaggioso, a patto, però, di utilizzare dispositivi di alto profilo tecnologico ad elevata efficienza.
Il legno è una fonte energetica che si rinnova, quale prodotto dei processi diorganicazione degli elementi minerali per mezzo dell’energia solare (fotosintesi clorofilliana).
I vantaggi derivanti dall’uso del legno a scopo energetico si evidenziano anche nella valutazione delle emissioni risultanti dal processo di combustione. Nel grafico 1.2 vengono confrontate le emissioni atmosferiche prodotte dalla combustione del legno in generatori di calore caratterizzati da due differenti livelli tecnologici: sistemi tradizionali domestici a tronchetto (monofamiliare) e sistemi innovativi a tronchetti e/o cippato. Le due tipologie di generatori di calore sono confrontati con quelli alimentati con combustibili fossili.
Dal grafico 1.2 si osserva che i sistemi tradizionali a tronchetto presentano emissioni maggiori per quanto riguarda il monossido di carbonio (CO), le polveri e i componenti organici volatili. Per quanto riguarda le emissioni di ossidi di zolfo (Sox), l’olio combustibile e, a seguire il gasolio, si pongono tra i combustibili a maggiore produzione.
Nonostante la combustione del legno comporti, a parità di energia sviluppata, alcune emissioni maggiori rispetto ai combustibili fossili, si osserva un notevole abbattimento nella produzione degli ossidi di zolfo (Sox) e dell’anidride carbonica (CO2).
In merito alla domanda di legna da ardere si osserva una riduzione dei consumi nelle fasce della popolazione a basso reddito. In questo caso la legna da ardere si caratterizza come bene inferiore e viene sostituito dai combustibili fossili.
Al contrario, nelle fasce a reddito alto, il combustibile legnoso è percepito come bene superiore e la domanda di questo prodotto aumenta.
L’analisi dell’offerta mostra che le biomasse legnose sono disponibili in diversi assortimenti, in differenti fasi del ciclo di vita del prodotto legnoso (Figura 1.3) e, quindi, con costi di produzione estremamente disomogenei.
Infatti, spesso la biomassa ha un costo nullo, come nel caso dell’assegnazione di piante in piedi ad uso civico. In altre condizioni bisogna affrontare una spesa affinché il materiale legnoso sia impiegato da terzi. Tale situazione si verifica in quelle imprese di lavorazione del legno che non sono in grado di sostenere costi per un impianto di trasformazione energetica che rispetti la normativa sulle emissioni e quindi devono ricorrere allo smaltimento dei residui legnosi.
Altri casi di disponibilità a pagare nell’offerta delle biomasse, si riferiscono alla realizzazione di interventi di gestione di impianti o formazioni naturali eccessivamente dense, che presentino piante morte o deperienti, o all’attività di miglioramento di boschi danneggiati da incendi o da calamità naturali e alle azioni di prevenzione dagli incendi.
Gli impieghi delle biomasse forestali per autoconsumo sono frequenti nei casi in cui la manodopera aziendale non sia remunerata a costi di mercato, ma con un salario implicito. Il basso costo opportunità che contraddistingue tale manodopera (per esempio un anziano agricoltore durante i mesi invernali, in un periodo di ridotta attività agricola) determina un costo complessivo contenuto del materiale legnoso alla bocca di un impianto termico.
Il costo del materiale legnoso può raggiungere livelli elevati nel caso di produzioni forestali specializzate a turno breve SRF (Short Rotation Foresty). Questi impianti sono realizzati nell’ambito di progetti di riconversione di terreni agricoli a produzioni eccedentarie e assume rilevanza l’insieme dei contributi e delle compensazioni che derivano dal settore pubblico.
I presupposti della convenienza all’utilizzo delle biomasse a fini energetici, oltre ad essere connessi ai costi di produzione della materia prima, dipendono almeno da altri tre fattori:
1. la logistica, ovvero le spese di trasporto e di stoccaggio che possono incidere pesantemente sui costi del materiale alla bocca dell’impianto;
2. i sistemi di produzione di energia, ossia il tipo e le dimensioni degli impianti, le modalità di alimentazione degli stessi, l’assortimento del materiale (tronchetti formato stufa, chips, pellets, ecc.), il rendimento energetico;
3. i costi di produzione di energia con combustibili convenzionali, in genere fossili, o con altre fonti energetiche rinnovabili.
In conclusione, il mercato delle biomasse legnose è caratterizzato da una scarsa trasparenza, a causa dei fattori ricordati, dei repentini mutamenti riguardo l’impiego del materiale legnoso, ma anche per i ritardi da parte del settore pubblico nella creazione di osservatori di mercato e sistemi di monitoraggio dei prezzi.
La mancanza di chiari sistemi di classificazione delle biomasse e la scarsa omogeneità di assortimenti come il cippato, impediscono un corretto confronto delle quotazioni, non offrono garanzie agli operatori economici, determinano alti costi di transazione.
BISOGNI DEL SETTORE
Bisogna porre attenzione sulla filiera forestale e formulare delle proposte per la risoluzione delle problematiche presenti nel settore.
Il tema comune per la cooperazione è il potenziamento della filiera foresta-legno-energia attraverso:
- l’analisi e la valutazione della filiera foresta-legno-energia;
- il rafforzamento della base imprenditoriale del settore e quindi delle imprese cooperative forestali;
- la diffusione di conoscenze tecniche ed economiche;
- la realizzazione di azioni dimostrative, lungo l’intera filiera.
L’intesa tra le parti consentirà di realizzare azioni comuni da integrarsi in un progetto strategico dalla produzione alla utilizzazione delle biomasse.
Gli ambiti forestali fra i più significativi a livello nazionale, hanno individuato una serie di problematiche e di esigenze comuni sul piano dello sviluppo socio-economico delle aree rurali di riferimento, che possono trovare una risposta nello sviluppo della filiera foresta-legno-energia.
Il sistema forestale è caratterizzato da una serie di problemi che pregiudicano l’efficienza economica delle attività selvicolturali e lo sviluppo dell’intera filiera.
Tra i principali sono stati rilevati i seguenti:
- La frammentazione della proprietà privata comporta difficoltà nella predisposizione e nell’applicazione di strumenti di pianificazione e di gestione forestale che necessitano di un’estensione di superficie forestale discreta, nell’attuazione di investimenti strumentali di un certo livello, nell’utilizzazione di strumenti per orientare le scelte aziendali, nell’applicazione della normativa sul
- La presenza di vaste aree di proprietà comunale gravate dall’uso civico, che con idonei contratti di gestione potrebbero essere utilizzati a fini sperimentali e dimostrativi
- Lo scarso valore economico del legnatico che non ne consente una valorizzazione da opera, né può coprire elevate distanze come legna da ardere per non far lievitare il costo all’origine. Inoltre la metanizzazione delle aree montane ha diminuito notevolmente l’interesse della materia prima, che tuttavia per scongiurare il totale abbandono della montagna, va utilizzata, sia nel rispetto del contesto ambientale in cui si opera, sia perché rappresenta una risorsa occupazionale insostituibile.
POSIZIONE COMUNE IN MATERIA DI PROMOZIONE DELLA BIOENERGIA DI ORIGINE FORESTALE COPA COGECA.
Il passaggio da un’economia fossile alla bioeconomia richiede notevoli sforzi da parte della società e cambierà le abitudini quotidiane delle persone. Mettendo a frutto e sviluppando maggiormente l’enorme potenziale delle foreste europee, questo passaggio può essere effettuato in maniera più efficace e meno drastica. I produttori forestali europei sono pronti ad assumersi le proprie responsabilità: rispondere alle sfide e proporre le soluzioni più efficaci. Per raggiungere l’obiettivo dell’UE che il 20% dell’energia provenga da fonti rinnovabili, la biomassa forestale deve svolgere un ruolo di primo piano. Come oggi, nel 2020 la biomassa forestale continuerà a fornire la maggior parte dei fattori di produzione dell’energia rinnovabile. Al giorno d’oggi, il potenziale delle foreste europee non è pienamente sfruttato. Viene raccolto solo il 60-65% dell’incremento annuo totale di 600 milioni di m³. Le risorse forestali dell’UE sono gestite in modo sostenibile conformemente ai criteri SFM (Sustainable Forest Management (gestione sostenibile delle foreste), concordati a livello internazionale, il che garantisce anche l’origine sostenibile della biomassa forestale.
In tempi relativamente brevi, una migliore mobilizzazione del legno può portare a un aumento sostanziale del raccolto annuale. Oggigiorno, l’abbattimento annuale sostenibile nella produzione forestale europea di tipo familiare può essere aumentato di almeno 150 milioni di m³, corrispondenti a 300 TWh. Con un miglioramento dei metodi di silvicoltura, la crescita annuale delle foreste europee potrebbe ancora aumentare del 25%. Inoltre, l’imboschimento di terreni inutilizzati e marginali potrebbe portare a una produzione forestale ancora maggiore. In molti dei nostri ecosistemi forestali seminaturali, questo potenziale non sfruttato provoca una riduzione della biodiversità e un aumento del rischio di catastrofi naturali, quali gli incendi e i danni causati da forte vento.
L’utilizzo della biomassa forestale porterà quindi a una situazione vantaggiosa per tutti, dato che la produzione di bioenergia diminuisce il rischio di incendi boschivi e aumenta gli introiti dei produttori, permettendo maggiori investimenti nella gestione sostenibile delle foreste. L’aumento della produzione di materie prime lignee permette anche una maggiore produzione di prodotti di origine forestale, il che contribuisce alla competitività sostenibile di tutto il settore forestale. Delle migliori condizioni di accrescimento delle foreste ottenute attraverso dei metodi di silvicoltura più efficaci possono inoltre svolgere un ruolo importante nella lotta contro il cambiamento climatico, riducendo la concentrazione di CO2 nell’atmosfera e contribuendo agli adattamenti necessari. Un maggiore utilizzo della biomassa forestale contribuisce allo sviluppo delle economie locali e dell’occupazione. Parallelamente a una produzione di bioenergia su vasta scala, la biomassa è utilizzata anche nelle piccole unità locali di produzione energetica.
Una produzione locale di bioenergia a partire da materie prime forestali implica dei costi di trasporto più bassi e costituisce una parte importante dello sviluppo rurale, contribuendo a un maggiore utilizzo di prodotti forestali in aree distanti dai grandi impianti di trasformazione.
Secondo le stime della Commissione, le materie prime rinnovabili potrebbero offrire nuove opportunità occupazionali a 250.000–300.000 persone nelle zone rurali.
Durante il Consiglio europeo di Lisbona nel 2000, gli Stati membri dell’UE si sono fissati un nuovo obiettivo strategico su un periodo di dieci anni, vale a dire quello di raggiungere una crescita economica sostenibile con più posti di lavoro, con impieghi migliori con una maggiore coesione sociale. In linea con gli obiettivi di Lisbona, la produzione di bioenergia da biomassa forestale può contribuire in modo significativo a limitare lo spopolamento delle zone rurali attraverso la creazione di nuove opportunità lavorative. I produttori europei sono pronti a condurre delle azioni concrete per aiutare l’UE ad adempiere a questi obiettivi ambiziosi. Tuttavia, un prerequisito necessario per poter trasformare questa volontà in azioni concrete è il fatto di poter disporre di un quadro politico e normativo stabile, unito a una visione globale della complessità del settore forestale. Ciò dovrebbe permettere una competitività e uno sviluppo sostenibili sia per il settore dell’energia forestale che per il settore industriale tradizionale. I firmatari della posizione accolgono favorevolmente il lavoro che il gruppo di lavoro ad hoc del Comitato permanente forestale svolge in materia di mobilizzazione e di uso efficiente del legno e dei residui del legno per la produzione energetica (attuazione dell’azione chiave 4.1 del Piano d’azione dell’UE per le foreste).
Considerazioni specifiche: fattori chiave per la promozione dell’utilizzo della bioenergia
Per contribuire all’attuazione della comunicazione della Commissione “Una politica energetica per l’Europa”, i produttori europei vogliono sottolineare i seguenti fattori come contributo chiave allo sviluppo del settore delle bioenergie:
1. Sostenere la mobilizzazione del legno
a. attraverso le organizzazioni di produttori forestali già esistenti e promuovendo la creazione di nuove organizzazioni di produttori forestali, in particolare promuovendo e sostenendo la creazione di cooperative e di associazioni nei paesi europei;
b. promuovendo lo sviluppo delle competenze e l’ulteriore sviluppo della cooperazione presso le associazioni e le cooperative di proprietari forestali;
c. rafforzare le cooperative forestali in quanto fornitrici di servizi e “mobilizzatrici” attraverso la promozione dei servizi, dell’accesso al mercato e dello scambio di informazioni e di esperienze. Rispetto a ciò, anche le aziende e i lavoratori forestali hanno un ruolo da svolgere.
2. Favorire lo sviluppo tecnico e delle infrastrutture, ad esempio attraverso degli investimenti nelle reti di trasporto (strade ecc.), nella tecnologia e nelle reti logistiche di raccolta, le quali sono considerate essenziali per un’efficiente mobilizzazione del
legno.
3. Sostenere le operazioni di gestione nelle zone boschive a bassa produttività o nei boschi giovani e contribuire così all’ottimizzazione del valore forestale, a un rimboschimento più efficace e a una migliore produttività e redditività a breve e a lungo termine.
4. Incoraggiare le attività legate alla mobilizzazione della biomassa proveniente dal legno nel quadro della politica di sviluppo rurale e della politica di prevenzione degli incendi boschivi.
5. Creare dei mercati funzionanti per le bioenergie, assicurando in particolare dei sistemi di aiuto non distorsivi della concorrenza, come degli aiuti di Stato per lo sviluppo tecnologico e per la mobilizzazione del legno.
6. Ravvicinare la produzione di energia da materie prime forestali rinnovabili al consumo energetico locale, per esempio tramite la promozione dell’utilizzo della biomassa locale per il riscaldamento e la refrigerazione. In tale contesto, potrebbe rivelarsi utile la standardizzazione delle caldaie per l’uso termico dei diversi tipi di biomassa.
7. Incoraggiare delle alternative di prodotti “ecologiche” e rinnovabili, per esempio promuovendo l’utilizzo del legno per la costruzione e l’edilizia, tenendo conto del principio dell’utilizzo razionale di legname di buona qualità per una produzione a valore aggiunto. Al contempo, dovrebbe essere pienamente esplorato il potenziale di risorse lignee non tradizionali, quali i residui derivanti dalle operazioni di taglio e di sfoltimento precommerciali.
8. Promuovere la ricerca e lo sviluppo nel settore della produzione forestale, delle tecnologie di raccolta, delle bioraffinerie e dei biocarburanti di seconda generazione.
9. Salvaguardare i diritti di proprietà in tutti i paesi europei, in particolare nei paesi dell’Europa centrale e orientale.
10. Migliorare la percezione dell’opinione pubblica rispetto agli interventi forestali, enfatizzando l’importanza del ruolo delle foreste e dei proprietari forestali per adempiere agli impegni assunti dall’UE in materia di bioenergia attraverso una gestione sostenibile delle foreste.
Posizioni espresse da Paolo Bruni ad Ancona
«La cooperazione forestale è in grado, nei prossimi cinque anni, di soddisfare il 20% del fabbisogno nazionale di calore attraverso l’impiego di biomasse». Lo ha dichiarato il presidente di Fedagri – Confcooperative, Paolo Bruni, commentando le dichiarazioni del ministro dell’Ambiente, Pecoraro Scanio, rese nel corso della Conferenza sui Cambiamenti Climatici, sulla necessità di avviare un pacchetto sulla sicurezza ambientale in Italia.
Bruni ha ricordato la recente firma del Protocollo d’intesa tra il Ministero dell’Ambiente e le centrali cooperative, in cui sono contenute le indicazioni su come le cooperative possono lavorare attivamente per la realizzazione degli obiettivi di Kyoto, tramite lo sviluppo delle energie rinnovabili, con particolare riguardo alla gestione delle filiere corte agro-forestali e ai sistemi di riscaldamento e teleriscaldamento che valorizzino i residui delle coltivazioni e i prodotti legnosi in genere. «Esistono già molti progetti in atto per lo sviluppo di impianti di teleriscaldamento - ha spiegato Bruni - che riguardano in particolare i piccoli e medi comuni italiani e il futuro, se adeguatamente sostenuto dalle istituzioni e dalla politica, potrebbe portare il nostro Paese ad altissimi livelli di produzione di calore da biomasse».«La cooperazione e l’associazionismo forestale - ha detto il presidente di Fedagri Confcooperative - sono in grado di produrre fino al 10% dell’energia rinnovabile in Italia e questa percentuale potrà raddoppiare entro il 2012». La superficie forestale italiana, rileva Fedagri-Confcooperative, è di circa 10,7 milioni di ettari (erano 5,6 nel 1950), quella registrata dall’Istat come facente parte di aziende attive, invece, è di soli 4,5 milioni di ettari (era di 5,6 nel 1990). «Ciò significa – ha commentato Fedagri Confcooperative – che più del 50% dei nostri boschi è abbandonato e questo si traduce in degrado, aumento degli incendi e del dissesto idrogeologico». A partire da questi dati si evince che sono in atto due tendenze: da un lato la dinamica della superficie forestale caratterizzata da una graduale crescita collegata alla ricolonizzazione naturale di ex coltivi nelle zone collinari e montane, dall’altra la riduzione delle forme di gestione attiva del patrimonio forestale italiano.Il risultato è che esistono 5,1 milioni di ettari, l’equivalente di Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Toscana messe insieme, al di fuori di qualsiasi contesto aziendale.Considerata l’importanza cruciale dello sviluppo di produzioni alternative di energia e calore, non si può sottovalutare il patrimonio di risorse che l’Italia può utilizzare.«In questo processo – ha concluso Bruni – la cooperazione può giocare un ruolo fondamentale poiché, meglio di altre forme imprenditoriali, può coniugare la necessità di gestire interventi di interesse pubblico e privato, con il mantenimento di efficienza di gestione e stabile occupazione».
CONCLUSIONI
Per raggiungere l’obiettivo dell’UE che il 20% dell’energia provenga da fonti rinnovabili, la biomassa forestale deve svolgere un ruolo di primo piano.
Come oggi, nel 2020 la biomassa forestale continuerà a fornire la maggior parte dei fattori di produzione dell’energia rinnovabile.
Al giorno d’oggi, il potenziale delle foreste europee non è pienamente sfruttato. Viene raccolto solo il 60-65% dell’incremento annuo totale di 600 milioni di m³. Le risorse forestali dell’UE sono gestite in modo sostenibile conformemente ai criteri SFM (Sustainable Forest Management, gestione sostenibile delle foreste) concordati a livello internazionale, il che garantisce anche l’origine sostenibile della biomassa forestale.
Le foreste italiane presentano un volume di legname di 1,5 miliardi di m3 che si accresce annualmente di circa 30milioni di m3 (UN-ECE /FAO, 2000).
In media si utilizzano ogni anno 9 milioni di m3 di legno (circa il 30% dell’incremento corrente CHE RAPPRESENTA LA METÀ RISPETTO AL DATO MEDIO EUROPEO) di cui 5.4 milioni di m3 sono legna da ardere, mentre i restanti 3.6 milioni di m3 di legname da opera. Ci sono quindi ampi spazi di incremento.
La superficie forestale italiana è di circa 10,7 milioni di ettari (erano 5,6 nel 1950), quella registrata dall’Istat come facente parte di aziende attive, invece, è di soli 4,5 milioni di ettari (era di 5,6 nel 1990). Ciò significa che più del 50% dei nostri boschi è abbandonato e questo si traduce in degrado, aumento degli incendi e del dissesto idrogeologico.
A partire da questi dati si evince che sono in atto due tendenze: da un lato la dinamica della superficie forestale caratterizzata da una graduale crescita collegata alla ricolonizzazione naturale di ex coltivi nelle zone collinari e montane, dall’altra la riduzione delle forme di gestione attiva del patrimonio forestale italiano. Il risultato è che esistono 5,1 milioni di ettari, l’equivalente di Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Toscana messe insieme, al di fuori di qualsiasi contesto aziendale.
La cooperazione e l’associazionismo forestale, RIAVVIANDO CONCRETE INIZIATIVE DI GESTIONE FORESTALE ASSOCIATA, sono in grado di produrre fino al 10% dell’energia rinnovabile in Italia e questa percentuale potrà raddoppiare entro il 2012.
In ciò siamo aiutati dalla evoluzione della legislazione in materia, che ha riconosciuto il calore come prodotto agricolo, evitando quindi un danno di carattere fiscale agli operatori.
Si potrebbe ulteriormente utilizzare la leva fiscale riducendo, ad esempio, l’IVA sulla legna da ardere.
Le imprese cooperative forestali riaffermano quindi l’impegno in questo settore con l’obiettivo diventare protagonisti all’interno di una filiera che parta dal bosco ed arrivi fino alla produzione di energia (calore o elettrica). L’obiettivo rimane quindi quello di produttori associati che affrontano il mercato, sicuri della forza che deriva dalla produzione della materia prima.